Travaglio a Che Tempo che Fa

La diffamazione, in diritto penale italiano, è il delitto previsto dall’art. 595 del Codice Penale secondo cui:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

I diritti di cronaca e critica trovano fondamento nell’articolo 21 della Costituzione, che sancisce che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Per risolvere la presunta antinomia di norme fra l’articolo 21 della Costituzione e gli articoli 594 e 595 del codice penale (norme che tutelano anch’esse un bene di rango costituzionale quale l’onore, espressione della personalità umana tutelata dall’articolo 2 della stessa Costituzione) si fa generalmente riferimento alla nozione di limite del diritto.

In particolare, la giurisprudenza, con una lunga opera di interpretazione, ha elaborato dettagliatamente i limiti di operatività del diritto di cronaca; le condizioni, cioè, necessarie affinché il reato di diffamazione venga scriminato dalla causa di giustificazione in discorso. In sintesi, perché operi la scriminante, è necessario: a) che vi sia un interesse pubblico alla notizia; b) che i fatti narrati corrispondano a verità; c) che l’esposizione dei fatti sia corretta e serena, secondo il principio della continenza.

 In sostanza, se non dici balle e lo fai sotto interesse pubblico, non è diffamazione.

Se Schifani era amico di mafiosi, e lo si è dimostrato, allora non è diffamazione.

Dunque perchè se la prendono tutti con lui, visto che quello che ha detto corrisponde al vero? 

Ecco la dichiarazione di reazione alle critiche, di Travaglio:
«Ho solo citato un fatto scritto già nel mio libro e in quello di Lirio Abbate, giornalista dell’Ansa minacciato dalla mafia, e cioè che Schifani ha avuto rapporti con persone poi condannate per mafia – spiega da parte sua Travaglio – o hanno il coraggio di dire che Lirio Abbate è un mascalzone e un mentitore, oppure si deve avere il coraggio di prendere nota di ciò che scrive sulla seconda carica dello Stato, e di chiedere alla seconda carica dello Stato di spiegare i rapporti con quei “signori” che sono stati poi condannati per mafia… Ma oggi nemmeno alla sinistra interessa prendere atto di queste cose… è un dramma».

Solo Di Pietro lo difende: «Ha solo raccontato i fatti».

Vedere per credere. 

Travaglio a Che Tempo che Faultima modifica: 2008-05-12T09:35:00+02:00da caesar223
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2 pensieri su “Travaglio a Che Tempo che Fa

  1. Io non so di preciso cosa sia “continenza”, ma riferirsi a una persona, qualunque, parlandone come di qualcosa paragonabile a una muffa, mi sembra tutto tranne che continente.

  2. La muffa non è la dichiarazione incriminata, ma la frase “Schifani è amico di mafiosi”.
    Dare ad uno della muffa poi non è che sia una grande offessa, passibile di denuncia.
    Certo non è un complimento.

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